Richard Avedon: gli occhi della moda

Nessuno ha influenzato maggiormente la fotografia di moda degli anni ‘90 come Richard Avedon, il quale ha praticamente delineato i linguaggi e le forme a cui tutti i maggiori protagonisti del fashion hanno aspirato fino a prima dei recenti sviluppi di inclusività. Con una carriera così vasta, ordinare anche solo le principali informazioni sulla storia di questo fotografo e delle sue collaborazioni non è cosa da poco.

Richard Avedon è tra i fotografi di moda più celebrati al mondo, in quanto è riuscito a mostrare la cultura pop come mai prima di quel momento, prendendone attivamente parte nella creazione.

Il fotografo nasce nel 1923 in un ambiente molto stimolante: il padre possedeva un negozio di abiti di lusso nella Fifth Avenue di New York e gli esponenti di riviste come Harper’s Bazaar, Vanity Fair e Vogue frequentavano abitualmente il negozio per tenersi aggiornati sulle ultime mode.

La Grande Depressione costringerà la famiglia a chiudere bottega e trasferirsi in un appartamento più piccolo, ma ciò non impedisce a Richard di ritagliare e collezionare gli scatti dei grandi fotografi degli anni ‘30 apparse sulle riviste che aveva avuto modo di leggere in questi anni.

Tra i suoi preferiti si trovavano Martin Munkácsi

Edward Steichen

e Anton Bruehl

Il padre di Richard lo introduce ai principi della fotografia. Il giovane lascia l’università nel 1942 e si unisce alla marina mercantile, nel quale serve per 2 anni come fotografo

Terminata questa esperienza, Avedon prende parte alle lezioni di fotografia di Alexey Brodovitch, allora direttore artistico dell’Harper’s Bazaar, al quale Richard chiede almeno 14 appuntamenti, tutti cancellati, prima di riuscire ad ottenere un incontro per mostrare i suoi scatti.

Accettato come fotografo per il Bazaar, il contributo di Richard è il tocco finale che servirà a definire il nuovo tono visivo della rivista. Il fotografo lega profondamente con i suoi tre nuovi mentori: Brodovitch, da cui impara disciplina e valori; la direttrice Carmel Snow, della quale apprezza l’umanità; e la fashion editor Diana Vreeland, eccentrica e irrimediabilmente creativa. Questo trio darà alla fotografia di Avedon la possibilità di svilupparsi ulteriormente e sbocciare.

I suoi scatti non assomigliano a quelli di molti dei suoi predecessori, dove le donne vengono fatte assomigliare a statue o angeli. Qui le figure prendono vita, danzano, saltano e si muovono. Durante questo periodo di collaborazione con il Bazaar Avedon scatta alcune tra le foto più indimenticabili della storia della rivista.

Viaggiando tra le conseguenze dei bombardamenti alla fine del secondo conflitto mondiale, Avedon riesce a ricreare con abilità le atmosfere della Parigi anteguerra, ricreando dei set quasi dal nulla, che riescono a mostrare la versione della città come la immagina.

Anche designers come Christian Dior sono influenzati dal suo stile

Avedon inizia a lavorare con Audrey Hepburn, e i due manterranno un rapporto di collaborazione durante la loro rispettiva carriera. L’attrice rappresentava la perfezione per la sua ricerca della bellezza fuori dai limiti.

Gli attriti con il magazine sorsero all’arrivo della modella China Machado nel 1958. Nonostante la fashion editor Diana Vreeland desse al fotografo piena libertà creativa nella scelta delle modelle, l’editore del Bazaar Robert MacLeod si disse contrario all’uso delle sue fotografie, portando infine all’allontanamento di Avedon in favore di un contratto per Vogue, dove la Vreeland aveva assunto la posizione di nuovo direttore.

Uno dei primi servizi di Richard per Vogue fu quello che è ancora considerato il più costoso shooting della storia del fashion, con una spesa di oltre 1 milione di dollari nel 1966. Il concept giocava ruotando attorno a scenari tolkeniani, sfruttando l’appena recente possibilità di raggiungere l’est asiatico in aereo, meta che fino a quel momento era stata inaccessibile e che adesso era pronta ad affascinare l’immaginario collettivo.

Lo stile e la sensibilità artistica di Avedon si dimostrarono capaci di trasformare anche diamanti grezzi in vere e proprie icone, come accadde per la modella britannica Twiggy, che con il fotografo passò da Londra alla conquista degli States aprendo la strada alla minigonna e ai capelli “da maschiaccio”.

Ma nel pieno del fervore delle tensioni generate dalla guerra del Vietnam e dal movimento per i diritti civili, la fotografia di Robert Avedon non si limitò solo alla moda. In parallelo, trovarono spazio infatti anche scatti di reportage e ritrattistica.

Avedon collabora con lo scrittore e compagno del liceo James Baldwin per il libro “Nothing Personal” che raccoglie le immagini della cultura americana degli anni 60, nella quale compaiono Martin Luther King e William Casby, allora uno degli ultimi americani nato sotto schiavitù e ancora in vita. Le foto portano a riflettere e a volte risultano disturbanti, ma riflettono senza dubbio l’America esclusa dalle riviste di moda patinate.

Nei ritratti di Avedon la macchina fotografica assomiglia più a un’arma che ad uno specchio per riflettere la compiacenza altrui. Anche al costo di creare un conflitto, il fotografo utilizzava le interazioni con i soggetti per ricreare consapevolmente quelle reazioni interne che voleva loro mostrassero. In questa serie di scatti, ad esempio, Avedon non era certo interessato a ritrarre il duca e la duchessa di Windsor con le loro maschere di cordialità e per ricreare quelle emozioni che aveva visto in loro osservandoli giocare d’azzardo si era inventato che il loro amato carlino gli ricordasse che il suo cane era stato investito quella mattina.

Nonostante la dissonanza tra come questi volessero essere ritratti e il risultato finale, Avedon ha fotografato le più importanti personalità dell’epoca, da politici ad artisti, tra cui: Ronald Reagan, George Bush Sr., Barbara Streisand, Aretha Franklin, Bob Dylan, i Beatles, Prince, Janis Joplin. Richard ama l’analisi della calligrafia e, un po’ allo stesso modo, ama “leggere” i volti dei suoi soggetti alla ricerca di contraddizioni e connessioni, alla ricerca di complessità. Il suo dinamismo stilistico gli permette di trovare molte simpatie specialmente tra i musicisti.

Avedon elimina il superfluo dalla sua fotografia, gli elementi di distrazione: niente luci raffinate o oggetti di scena, evita gli argomenti che sa di non poter esprimere al meglio. Ciò che resta allora sono sfondi bianchi e persone che stimolano il suo interesse e la sua ricerca.

Uno degli scatti più famosi di Richard Avedon è forse quello dell’attrice Nastassja Kinski abbracciata da un boa constrictor. Le interviste dell’epoca ci fanno capire quanta dedizione abbiano messo entrambi gli artisti, fotografo e attrice, per la sua realizzazione: Nastassja rimase sdraiata, nuda, sul cemento freddo per almeno due ore, senza perdere controllo e professionalità, permettendo al serpente di muoversi su di sé fino al momento da immortalare. L’idea del serpente, proposta proprio dall’attrice, fu accolta con entusiasmo da Richard che nonostante la fama non ha mai voluto esigere il pieno controllo di tutto, lasciando invece ampia libertà ai suoi soggetti per esprimersi significativamente e sfruttando la capacità di cogliere in quel momento non programmato i risultati più sorprendenti.

Si tratta di un approccio che, riflettendo sulle mie esperienze fotografiche, ho usato molto spesso: sessioni di un’ora si allungavano fino a due o tre non solo perché si riusciva a creare delle immagini che trovavamo bellissime ma anche perché ci stavamo divertendo. L’energia che si viene a creare quando il fotografo e la modella entrano in sintonia ha fatto molto spesso, per me, la differenza anche sui risultati.

Per i suoi lavori commerciali Richard Avedon utilizzò il suo stile distintivo per giocare coi confini tra arte e commercialità, sviluppando quel vocabolario visivo che continuò ad essere utilizzato dai vari brand anche nelle decadi successive. Tra i primi marchi ad aprire questa nuova fase di collaborazioni ci fu Revlon, per il quale Avedon realizzò scatti pensati per avvolgere completamente le due pagine della rivista. Le modelle comprendevano donne bellissime di generazioni diverse. Richard lavora con tutto un entourage artistico, parrucchieri, direttori artistici, account executives e clienti con cui realizza lavori di incredibile disciplina, ovviamente pensati per vendere un prodotto. Il sogno del glamour e della moda. Con queste foto, Avedon aiuta a scolpire e definire la nozione di bellezza che resterà nell’immaginario collettivo della società fino a tempi recenti. Tra i suoi lavori di maggiore impatto ci saranno quelli per Calvin Klein, che decreteranno il successo del brand.

Ma c’è un altro nome che negli anni ‘80 viene fortemente caratterizzato dai lavori di Avedon: quello di Gianni Versace, considerato in quel momento un designer emergente. Lavorando insieme, i due hanno creato una mitologia fotografica che ha influenzato il mondo. Questa ricetta di stile si adattò perfettamente all’era delle supermodelle anni ‘90. Avedon e Versace condividevano energia e passione per tutto ciò che irradiava bellezza e questo creo un ambiente nei set di shooting dove le modelle lavoravano con grande entusiasmo.

Tra questi servizi, uno in particolare illustra ulteriormente l’approccio di Richard Avedon. L’energia che il fotografo riversa su questi scatti coinvolge le due donne, che si gettano nel momento, lasciandosi andare a quella chimica che si trasforma in iconografia. Tessuti e corpi sembrano scolpiti nel marmo, le due donne sembrano statue greche, contorte. Anche i capelli sembrano scolpiti e in alcuni scatti danno l’impressione di ondeggiare come fiamme divine. Avedon non dirige, ma segue le due modelle nella loro scoperta delle pose e nei loro esperimenti sul movimento. La rigida esecuzione scompare. Le immagini risultano permeate di dramma e narrazione, eco delle atmosfere barocche che facevano parte dell’identità del brand di Gianni Versace

Un altro tratto distintivo degli scatti di Avedon per Versace è stato l’uso differente della figura maschile nella composizione delle immagini. Evitando la stoica mascolinità venduta dalle identità degli altri brand, il fotografo sovverte l’uso delle figure maschili e le trasforma in Adoni stregati dalla forza delle loro donne e sottomessi alla loro bellezza. I modelli rappresentano nel corpo l’ideale di bellezza maschile ma l’energia che sprigionano è decisamente femminile.

Mentre realizza questi shooting molto glamour per Versace, Avedon trova spazio per un altro progetto, quello di mostrare le umili realtà in cui molti americani vivevano all’epoca; crea quindi una nuova serie fotografica intitolata “The American West”, che realizza in sette anni. Nel caso di questi ritratti, Avedon scelse quei soggetti che potevano esprimere le idee che lui stesso voleva esprimere, scartando gli altri. Richard sente di dover tentare di imbarcarsi in questo progetto fuori dalla sua zona di comfort per cercare di completare il suo ritratto dell’America. Si occupa quindi di complessi industriali, fattorie e vagabondi, persone che non sono abituate alla fotocamera ma che si sentono elettrizzate all’idea di essere fotografati ed esprimono una profondità che per Avedon è molto diversa dai suoi usuali lavori. Richard sceglie di ritrarre questa gente non nelle loro migliori condizioni, con gli abiti della domenica, ma in abiti da lavoro, con i volti sporchi di terra o nelle stesse condizioni in cui si ritroverebbero vagando per le strade. Si lascia guidare dall’improvvisazione, spesso senza idea su come o chi avrebbe fotografato quel giorno. Una delle poche eccezioni è lo scatto dell’uomo con le api, la cui idea dice che gli sia venuta in sogno.

Nel mondo dell’arte e dei curatori questa serie fotografica non fu molto apprezzata. Le critiche riguardavano soprattutto le intenzioni del fotografo, che a detta di alcuni aveva poco da spartire con il West Americano. Alcuni dei soggetti si lamentarono degli scatti scelti per il progetto finale, ma per Avedon questo tipo di fotografia si realizza solo prestandosi all’artista e all’arte, qualsiasi sia il risultato finale e l’opinione di chi è stato immortalato.

Dopo alcuni anni senza produzioni di editoriali di moda, Avedon si ripresenta con “In memory of the late Mr. and Mrs. Comfort”. I lavori del fotografo erano stati per molto tempo caratterizzati da una netta divisione di genere, la fotografia di moda da una parte, i lavori più seri, di ritrattistica e di reportage dalla loro. Ma per Richard non c’è mai stata una netta divisione tra moda e vita. Tutte le persone si vestono, tutte vogliono vestiti belli. Il fotografo avrebbe voluto unire la sua visione della società in una storia che ricalcasse le modalità di un editoriale di moda, ma nessun magazine era interessato a questo progetto. Proposta l’idea al “the New Yorker” di questo concept quasi post-apocalittico, dove i soggetti hanno in un certo senso dimenticato il significato delle cose, il direttore gli offre uno spazio di 12 pagine. Avedon crea comunque 26 pagine, che gli verranno tutte pubblicate. Si tratta di un progetto molto diverso rispetto ai suoi precedenti, per via del contenuto: qui la moda fa parte di un mondo che pensa e ragiona, che cerca di ricordare; gli scatti rappresentano ogni persone e non solo modelli; la morte, argomento sempre assente nelle riviste di moda, viene qui in un certo senso esorcizzata.

Robert Avedon si stava occupando di un nuovo progetto nel 2004, chiamato “Democracy”, focalizzato sulla corsa elettorale alla presidenza degli Stati Uniti, ma viene colpito da un’emorragia cerebrale e, all’età di 81 anni, lascia il mondo con un portfolio di più di 50 anni che è impossibile ignorare.

All’età di 55 anni una patologia al cuore lo aveva messo in serio pericolo di vita, e facendo i conti con la propria mortalità aveva iniziato a utilizzare la fotografia anche come un modo per affrontare le cose che lo terrorizzavano. Forse è per questo che, nel frattempo, non aveva mai smesso di scattare.

Alcuni scatti che ho trovato interessanti non hanno trovato spazio in questa narrazione, ma ho voluto comunque raccoglierli qui alla fine.

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