Julia Margaret Cameron: la perfezione non è tutto
Personalmente, all’inizio del mio approfondimento, la carriera di Julia Margaret Cameron non mi aveva detto quasi nulla di interessante. “Ecco un’altra storia di una famiglia benestante” avevo pensato. Dopo aver speso tutta la sua vita in India, la Cameron si era ritirata nel 1848 in Inghilterra per poi trasferirsi sull’isola di Wight nel 1860 dove, circondata da vicini dell’alta società inglese, aveva iniziato a scattar loro delle fotografie che poi faceva anche firmare per renderle ancora più appetibili alle gallerie d’arte. Il marito era il supervisore di una piantagione di caffè. La sua cameriera personale veniva spesso coinvolta negli scatti e si possono leggere episodi in cui la Cameron si diverte a prendersi gioco delle sue “vittime”, come qualcuno le chiama.
Cosa avrebbe di interessante allora una persona di questo tipo?
Julia inizia a fotografare solo all’età di 48 anni, dopo il 1963, quando la figlia le regala una macchina fotografica per occuparsi nella sua solitudine dopo che i sei figli sono già cresciuti e hanno lasciato il nido e il marito è impegnato oltreoceano con il lavoro. La Cameron utilizzerà un pollaio come suo studio fotografico e una carbonaia come camera oscura. Non ebbe mai interessi a livello commerciale e non realizzò mai ritratti su commissione, coinvolgendo piuttosto amici, familiari e dipendenti della casa nelle sue attività.
Essendo ben connessa all’interno del circolo di artisti, scrittori e luminari della società di Londra, che spesso sono suoi ospiti, tra i suoi ritratti troviamo quello di Charles Darwin, del poeta Tennyson e del filosofo Thomas Carlisle.
La Cameron ha molta ammirazione per i suoi ospiti e nelle sue foto li fa posare nel ruolo di eroi o di sovrani leggendari, lasciando trasparire in questi geni anche un’aura mistica.
Le donne ritratte da Cameron posano come i personaggi dei miti e delle leggende popolari dell’era vittoriana. Tra i soggetti troviamo anche Alice Liddell, l’ispirazione per l’Alice di Lewis Carroll.
I ritratti in studio erano già molto popolari nell’Inghilterra del tempo, ma Cameron li trovava piuttosto banali e privi di ispirazione. Voleva per i suoi scatti più di un semplice ritratto della realtà, combinando piuttosto lo forma con l’ideale senza per questo sacrificare la verità. Julia Margaret Cameron diventa nota tra i fotografi della società londinese, che ridicolizzarono le sue immagini per un uso troppo morbido del fuoco, concedendole soltanto la qualità di essere molto originale e null’altro. I suoi fuori fuoco rendono i contorti più morbidi e le immagini non troppo chiare e nitide. Le foto hanno uno stile deliberatamente sognante, che mira a trasmettere il genio degli uomini e la bellezza delle donne, in una cornice specificatamente cristiana, sublime e sacra o ispirata da personaggi shakespeariani ed elisabettiani.
Alle critiche sulla sua messa a fuoco sbagliata la Cameron rispose: “che cos’è il fuoco e chi decide quando è giusto?”. I suoi amici capirono che la visione della fotografa non era dettata dalla ricerca dell’esattezza ma piuttosto da qualcos’altro e continuarono a supportarla nelle sue scelte stilistiche.
Julia decide consapevolmente di scartare le pose formali dei ritratti dell’epoca e le elaborate narrative di fotografi del suo tempo come
H. P. Robinson
O. G. Rejlander
e include imperfezioni nelle sue stampe, scie, graffi e a volte anche impronte digitali, che altri fotografi avrebbero considerato come errori tecnici, per questo è oggi considerata all’avanguardia rispetto ai tempi. Comunque, non sappiamo se questi fossero elementi voluti o semplicemente accettati dalla fotografa, ma sappiamo che a volte manipolava volutamente le immagini per effettuare delle correzioni o creare dei collage.
50 anni dopo la morte, gli scatti della Cameron furono riordinati e presentati nel suo primo libro fotografico dalla sua pronipote Virginia Woolf, permettendo al suo lavoro di essere riscoperto per le successive generazioni di fotografi.