Dorothea Lange: la potenza dei simboli

Dorothea Lange ha dato un forte contributo alla fotografia documentaristica nell’America del XX secolo ed è stata una figura di riferimento nel mostrare gli effetti e le conseguenze della Grande Depressione sugli americani.

Nata in New Jersey nel 1895, durante l’infanzia affronta la polio e una separazione. Si ritrova, già a 12 anni, a doversi gestire da sola mentre la madre è impegnata col lavoro. Dorothea vaga affascinata per la città di New York, già a quei tempi in pieno fermento anche se molto diversa da come ce la potremmo immaginare oggi.

La madre divenne un’investigatrice della corte per i minori, esponendo la figlia ai racconti di povertà e di differenze etniche e razziali “nascoste” nella società americana. Crescendo, Lange studia fotografia alla Columbia University e diventa l’assistente di Arnold Genthe, fotografo ritrattista famoso per la sua serie sugli immigrati cinesi in San Francisco.

Trasferitasi a San Francisco per caso dopo essere stata derubata prima di un viaggio per il mondo, Lange trova un investitore per uno studio fotografico e inizia a ritrarre principalmente l’élite della città.

Sposa il noto artista Maynard Dixon, con il quale costruisce una famiglia e una bella vita fino allo scoppio della guerra. La crisi economica porta la famiglia a trasferirsi per un periodo fuori città.

Al loro ritorno trovano una San Francisco diversa, riflesso della situazione dilagante nell’intera nazione a causa della Grande Depressione. Un quinto dei lavoratori americani viene messo in congedo nel 1933 e si ritrova per strada. Dalle finestre del proprio studio, Dorothea osserva uomini vagare per le strade senza meta finché un giorno, seguendo un impulso, prende la sua fotocamera e si avvia anche lei. Spinta anche dalla scarsità dei clienti, la fotografa trova uno scopo negli scatti alle proteste e agli scioperi degli autisti di autobus, degli agricoltori, degli operai delle industrie di petrolio.

Il percorso della Lange subisce una svolta con l’incontro di Paul Taylor, etnografo, economista e professore all’università della California Beckley. Dopo aver visto le foto esposte in una piccola galleria di Oakland nel 1934, l’uomo ingaggia Lange per lavorare assieme a un progetto per l’agenzia degli aiuti di stato. Il professore introduce il lavoro della Lange ai vertici di agenzie federali che la accettano immediatamente e le commissionano un lavoro di fotografia on the road nella dura realtà delle campagne abitate dai contadini, dai migranti e dai profughi.

Dorothea fotografa la gente del profondo sud, bianchi e neri, testimone delle tensioni razziali e delle reazioni delle comunità. Qui Lange scopre una realtà molto diversa da quella della sua California e cerca di esporre le relazioni di potere spesso sconosciute dall’opinione pubblica. La sua insistenza nel rivelare le radici razziste della povertà attirò anche le critiche dei suoi datori di lavoro al governo, interessati maggiormente alla “povertà dei bianchi”. Nelle fotografie, la Lange si avvale senza troppi problemi anche di alcune messe in scena, quando queste servono a produrre l’effetto voluto. Nella loro prima fase, questi scatti sono pensati per essere molto oggettivi, per dipingere le tremende condizioni di vita, l’acqua contaminata che erano costretti a bere, la stanchezza.

Dorothea si accorge però che l’obiettività non riesce a mostrare davvero le emozioni delle persone, manca cioè qualcosa per cogliere sensibilmente non solo i fatti ma anche ciò che prova chi li vive.

Attraverso l’uso di maggiori contrasti tra luci ed ombre, posizione del soggetto e maggiore attenzione per le mani e le espressioni facciali, la fotografa raggiunge una nuova fase drammatica: inizia a preferire composizioni più semplici, si avvicina ai soggetti, li posiziona quando serve e li fa guardare direttamente nell’obiettivo, non per raggiungere il suo sguardo ma il nostro. Le sue foto diventano il simbolo della condizione americana.

Lange cerca di suscitare l’empatia degli spettatori e si concentra su tre aspetti fondamentali della condizione umana: amore, dignità e compassione. Portare dignità ai ritratti delle classi più basse ad un pubblico più ampio rappresentava una novità per la società dell’epoca.

Probabilmente tra le foto della sua carriera che meglio colgono i sentimenti e le sensazioni del periodo della Grande Depressione ne spicca una in particolare: “The migrant mother”. La realizzazione di questo scatto spiega anche perché Dorothea sia una maestra nel catturare l’esperienza della vita: la fotografia non si fa semplicemente catturando una foto ma si realizza prendendo delle decisioni che comprendono aggiustamenti della camera, inquadrature, distanza dal soggetto e infine proprio il soggetto stesso. Sono tutti gli elementi che vengono o meno messi di fronte alla macchina fotografica prima dello scatto a portare alla creazione l’immagine. Nonostante Lange fosse stata assunta come fotografa documentarista il suo successo stette nel capire l’importanza di certe decisioni e il peso delle proprie immagini in un periodo in cui pochi possedevano questa sensibilità e percezione. Dorothea Lange capì che, molto più che la vista di bambini che giocano nello sporco, vedere dei figli nascondersi dietro una madre per vergogna o alla ricerca di una protezione che lei non può dar loro è un simbolo molto più potente ed evocatore.

L’entrata nella Seconda guerra mondiale mise fine alla Grande Depressione americana. In questa periodo Lange lavora a due diversi progetti fotografici per il governo: da una parte uomini e donne di ogni razza che lavorano insieme nei cantieri navali, dall’altra le politiche di segregazione che presero di mira gli americani di origine giapponese.

Le evacuazioni e le segregazioni di questo ultimo gruppo iniziarono dopo che il Giappone attaccò Pearl Harbor. Durante la Grande Depressione il governo desiderava aiutare i rifugiati, ma non stavolta non era interessato. In contrasto con i suoi datori di lavoro, Dorothea si concentrò comunque sulla tragicità dell’evento e per questo motivo molte delle foto vennero censurate per decenni.

Dopo la guerra, lo sguardo della Lange indaga altri aspetti della società: la crescita economica e le conseguenze per alcune delle comunità più sfortunate, i cambiamenti delle tradizioni in alcune comunità di mormoni nello Utah, il sistema giudiziario e le disuguaglianze di razza.

Tra il 1958 e il 1962 la fotografa viaggia ancora con Paul Taylor visitando 12 paesi tra Europa, Asia, Sud America e Africa alla scoperta di comunità e culture non familiari da documentare nonostante il peggioramento del proprio stato di salute.

Nonostante i problemi di salute dovuti ad un cancro, nel 1965 Lange aiuta a curare un’esibizione del Museum of Modern Art di New York ma non arriva a vedere completa. La mostra venne aperta al pubblico tre mesi dopo la sua morte, diventando la prima esibizione biografica del museo su una fotografa donna.

A maggio 2023, una stampa della sua “Migrant Mother” fu stimata per oltre 600 mila dollari.

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