L’esperienza della (quasi) disconnessione nel nostro tempo
Ho passato quasi una settimana senza telefono. Capita a tutti prima o poi: un momento è lì che funziona una meraviglia e l’attimo dopo non smette più di riavviarsi. All’inizio pensi che sia un evento isolato, magari colpa di qualche botta passata (a scoppio ritardato?). Dopo qualche ora senza problemi, lo scherzo ricomincia e, alla fine, inizi seriamente a preoccuparti di quel backup di foto e video che dicevi sempre di voler fare e che, invece, non hai mai fatto.
Ovviamente, ognuno ha ricordi a cui tiene e che non vorrebbe perdere. La mia preoccupazione, però, era quella di non perdere ricordi che ho condiviso con qualcuno che ormai non c’è più, ricordi per questo unici e a maggior ragione irripetibili. Fortuna e tenacia mi hanno aiutato e, dopo una giornata dedicata al recupero dati (nel mio caso ecco cosa ha funzionato: mettere il telefono in modalità aereo, disinstallare la maggior parte delle app che operano in background, tenere il telefono immobile e solo collegato per il trasferimento dati) ho salvato tutto quello che c’era.
Dopo il salvataggio dei file arrivano però tutti i problemi di chi naviga scollegato in un modo in cui tutti sono collegati. Come faccio ad avvisare a lavoro che sto facendo tardi? Come faccio a sentire la famiglia? Come faccio a leggere l’e-book che ho finito a metà? Come faccio a mostrare l’abbonamento annuale dei mezzi pubblici al controllore?
A queste questioni pratiche e giornaliere se ne era aggiunta anche una speciale e momentanea: come faccio ad aiutare la mia ragazza che, vedi tu la fortuna, ha perso il telefono nella strada verso la stazione e sta per entrare nel panico?
Con un po’ di fortuna ed ingegno, siamo riusciti a tappare alcuni buchi di questa falla che diventa non avere più uno smartphone in tasca. Questa è un’idea che ho assorbito da un libro di un filosofo italiano: la tecnologia ci porta ad integrare i suoi strumenti nella nostra identità, per cui oggi
Uomo moderno = Uomo + telefonino
Comunque, risolto il problema di smarrimento consultando al pc l’app Trova il mio dispositivo, verificato in quale dispositivo ero ancora collegato su Whatsapp (solo sul tablet) e avvertito chi poteva preoccuparsi della mia assenza, mi sono ritrovato per esigenza ad utilizzare il tablet come una sorta di cellulare (quasi come quelle persone surreali che ogni tanto vedo in giro, che quando vogliono “chiamare qualcuno” tirano fuori queste belve quadrate riconvertite in telefoni), a dover memorizzare la strada da fare prima di uscire di casa e a dover fare affidamento non più su tutto lo scibile dell’internet (traduzioni, fact check istantanei e intrattenimento a portata di clic) ma solo sulle mie conoscenze. Per una persona frenetica come me non è stato facile.
Per fare un confronto con una mia passeggiata tipo: camminando per strada attraverso un incrocio, la mia ragazza mi avverte (su Whatsapp) che ha messo il pollo della sera prima a riscaldare in forno. Poco lontano vedo un panificio e mi viene voglia di pane. Entro e compro qualcosa. A casa potrei cucinare degli hamburger. Nel frattempo, il mio cervello inizia a pensare al sapore e alla consistenza del pane della Sicilia ed immagina una conversazione tra me e la mia ragazza, seduti sui sedili dietro nella macchina della mia famiglia, che guida per tornare a casa. “Un pane così non lo hai mai visto” dico alla mia ragazza in tedesco. Penso a mia zia, mia madre e mia sorella incalzarmi perché se già seguirci parlare in inglese era difficile, in tedesco ciao proprio. Non avevo immaginato mia zia in quella macchina, l’attimo prima, ma la fantasia è fatta così. Pane in tedesco si dice Brot. Poi penso: panino. Brotchen. Inizio a pensare a parole random perché credo potrebbe esserci una logica comune. Gatto, Katze. Gattino, Kätzchen. Ieri sera in una serie tv giapponese qualcuno ha detto Cioccolato in maniera buffa. Cioccolatino. Bimbo… Bimbino? No, aspetta: Bambino. E come faccio adesso a spiegarglielo (a lei o ai miei immaginari studenti di italiano come lingua straniera) perché il diminutivo di Bimbo è Bambino e non Bimbino?
Io non lo so perché il diminutivo di Bimbo è Bambino e quindi inizio a cercare su internet. Non trovo risultati immediati. In questi casi, mi salva sempre Chatgpt, che se fosse una persona vera sarebbe già impazzito per le mie domande improvvise e casuali. Riporto la sua risposta:
La parola bambino non è propriamente un diminutivo di bimbo, ma una forma derivata con un suffisso (-ino) che si è stabilizzata come il termine principale per indicare un piccolo essere umano. Infatti, bimbo e bambino hanno origini diverse:
Bimbo deriva probabilmente da una forma onomatopeica legata al linguaggio infantile, simile a parole come mamma o pappa.
Bambino, invece, viene dal latino medievale bambinus, anch'esso di origine onomatopeica, che si diffuse come termine standard per indicare un "piccolo".
Nel tempo, bambino è diventato il termine comune per "piccolo essere umano", mentre bimbo è rimasto una variante più affettuosa o regionale.
Perciò:
Il diminutivo di pane è panino perché il suffisso -ino indica una versione più piccola o delicata della parola di partenza.
Per bimbo, invece, non si usa bimbino perché la lingua ha già stabilito bambino come forma preferita.
Comunque, per non dilungarmi troppo, posso dire che andare in giro senza telefono mi ha fatto accorgere di quante persone in qualunque posto stanno con la testa bassa e l’avambraccio sollevato. Spesso il gomito rimane poggiato sui fianchi così il bicipite e la spalla non si stancano. Che immagine triste. Tra l’altro, però, quell’unica volta che ho visto una persona effettivamente tenere lo schermo del telefono ad altezza occhi piuttosto che abbassarsi ho provato del disagio. Ed è vero che quando mi è arrivato il nuovo telefono a casa non stavo più nella pelle e l’ho quasi danneggiato prima ancora di accenderlo, tanto era stata la mancanza del mio binomio Uomo moderno, però è anche vero che ho deciso di approfittare della nuova situazione per prendere scelte diverse, installare solo le app che effettivamente uso ed evitare quelle che mi tengono appiccicato al telefono per ore, togliendomi energie e sovraccaricandomi di stimoli.
Per ora, sta funzionando. Sto riuscendo a lavorare più a lungo ai miei progetti, a restare più concentrato e a dormire anche un po’ meglio. Ma soprattutto, ho capito che staccare la spina dai social è un buon modo per trovare il tempo di dedicarmi a quello che mi piace.