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Elliott Erwitt: essere spontaneamente curiosi

Analizzare la carriera di Elliott Erwitt significa osservare con quanta versatilità il fotografo è stato capace di immortalare praticamente qualsiasi cosa attraverso il fascino e la leggerezza di uno spettatore della vita. Erwitt è stato capace di vedere la commedia e la tragedia della condizione umana e di catturare immagini di tanti angoli del mondo, mostrando le immense sfaccettature della vita.

Elliott è innamorato della nostra esistenza, della sua velocità e dei momenti fatti di quiete, stranezze e parti divertenti. “Quando reagisci a ciò che vedi, possibilmente senza preconcetti, puoi trovare immagini ovunque. Si tratta semplicemente di notare le cose e organizzarle”.

La famiglia di Erwitt è di origine russa, ma il giovane nasce a Roma e cresce a Parigi, Los Angeles e New York. La famiglia di Erwitt si trasferisce negli States nel 1939, quando il ragazzo aveva 10 anni, giusto prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo la scuola e il college, Elliott diventa assistente alla fotografia e nel 1950 ha l’opportunità di conoscere fotografi molto affermati come


Robert Capa, fotografo di guerra di cui conoscevo solamente questa frase: “Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino.

Edward Steichen, futura ispirazione di un altro fotografo precedentemente trattato. Introdusse Elliott a un personaggio molto importante per le fasi successive della carriera del fotografo, cioè

Roy Stryker, a capo dell’ufficio che lanciò il progetto documentaristico durante la Grande Depressione e che ingaggiò anche Dorothea Lange.

Stryker invita Elliott a trasferirsi da New York a Pittsburgh per prendere parte ad un progetto di gruppo. Al documentarista fu commissionato il compito di documentare la transizione della città nel dopoguerra, che da polo industriale voleva rendersi un centro culturale e accademico, e per questo l’uomo fa chiamare fotografi da tutta la nazione, tra cui Erwitt, incaricati di creare questo ritratto collettivo. Stryker era solito creare elaborate sceneggiature visive per sviluppare una specifica narrazione ma per ragioni a tutti sconosciute lasciò ad Erwitt piena libertà di espressione. Stryker era solito selezionare i negativi che potevano essere utili per la narrazione a cui era interessato e distruggere quelli scartati dal progetto ma questa volta decide di metterli da parte. Tra i 18 mila negativi scartati ritroviamo molti degli scatti di Erwitt ed è per questo che sono sopravvissuti fino a noi.

Elliot fotografa Pittsburgh dal settembre al dicembre del 1950, passando dagli uffici solo per sviluppare i negativi e ritornare in strada. Si fa testimone delle trasformazioni della città, mescolandosi tra la folla delle parate o delle partite di baseball e la domenica si ferma di fronte alla chiesa per ritrarre le donne vestite in abito elegante per andare a messa.

Le scene che cattura, intruso di quel mondo tranquillo, sono riconoscibili come la quotidianità dei quartieri della città, in un’era in cui leggere il giornale per un’ora era il modo per i cittadini di Pittsburgh di connettersi con il mondo più ampio. Espressioni e oggetti sembrano stare esattamente dove dovrebbero essere, nel contesto del tempo e del luogo dell’immagine. Tra i soggetti preferiti ci sono i bambini: spontanei, energici e carismatici per natura.

Dopo il progetto Pittsburgh, il suo talento per gli scatti improvvisati e spontanei gli fa guadagnare l’ammirazione di fotografi come Robert Capa, che nel 1953 invita il giovane a unirsi alla sua agenzia Magnum Photos nella quale Elliott rimarrà fino alla sua morte. Il talento di Elliott possiede delle qualità Bressoniane: una capacità di cogliere la spontaneità che lo stesso Henri Cartier-Bresson pensava non si potesse imparare. La scoperta della foto di Bresson alla stazione di Parigi agisce come una rivelazione per il giovane fotografo.

Henri Cartier-Bresson

Non poteva mancare quindi l’omaggio di Elliott a questa fonte di ispirazione.

Con l’ingresso nel collettivo Magnum, Erwitt compie i primi passi nel mondo del fotoreportage attraverso la collaborazione con magazine americani che vogliono far sorridere e sognare il lettore e di fronte alle meraviglie del mondo. Oltre ai magazine, continua a collaborare per lavori giornalistici e commerciali, contribuendo alla produzione di alcuni documentari, a produzioni cinematografiche e lavorando anche come operatore di camera per il documentario Gimme Shelter sui Rolling Stones. Inoltre, lavora come fotografo per il documentario di Martin Scorsese su Bob Dylan.

Ma Erwitt rimane impresso al pubblico specialmente per la sua capacità di catturare momenti e persone normali, mostrando come anche nelle piccole cose ci sia una storia da raccontare. Attraverso la meraviglia nella normalità di tutti i giorni, il fotografo utilizza la fotocamera sia come maschera per la sua timidezza sia come mezzo espressivo del suo spirito, attento ai paradossi della società che esprime con sarcasmo, ironia e con il gioco delle immagini.

Negli anni della guerra fredda Elliott documenterà momenti cruciali e persone del calibro di Richard Nixon e Nikita Khrushchev, scattando anche in Russia alla ricerca della quotidianità negata agli occhi dell’occidente.

Erwitt sembra ritrovarsi nel posto giusto al momento giusto quando, fotografando un evento industriale, scopre che l’allora vicepresidente Nixon è arrivato in visita. Tra le foto dell’evento che resterà noto come The Kitchen Debate il fotografo scatterà una delle più famose. Nixon era desideroso di promuoversi come politico che si ergeva contro la Russia e i sovietici, ecco perché sfrutta particolarmente questa fotografia durante la sua campagna presidenziale. La foto, fornita cortesemente ai membri delle pubbliche relazioni di Nixon, verrà utilizzata senza il permesso e l’autorizzazione di Erwitt, in una campagna elettorale che comunque Nixon finirà col perdere.

Non penso che qualcuno possa svegliarsi al mattino con l’obiettivo di realizzare una foto iconica. Non funziona in questo modo. Forse sei abbastanza fortunato da scattare un’immagine buona abbastanza da poter essere utilizzata ed essere vista da tante persone. Immagino che una foto debba essere vista da tante persone per diventare iconica."

Erwitt colleziona ritratti a molte celebrità nel corso degli anni. La sua attitudine alla curiosità e all’osservazione del mondo assieme alla possibilità di viaggiare lavorando per la Magnus gli permettono di fotografare tutto in tutti, passando da personaggi famosi come Fidel Castro e Marilin Monroe a luoghi che semplicemente lo rendono felice come le spiagge. Si ritrova a prendere parte anche al funerale di John F. Kennedy, dove ritrae la figura in lutto della moglie Jacqueline.

Cani, bambini e romanticismo sono temi ricorrenti in tutto il suo lavoro. “I cani sono ovunque nel mondo, non dispiace loro essere fotografati e non chiedono una copia delle foto. Penso che queste siano delle buone ragioni (per fotografarli) e penso anche che siano davvero dei soggetti simili agli umani

Quando un magazine giapponese gli commissiona un servizio di fotografie di coppia, Erwitt si accorge che il tema lo ha accompagnato per tutta la sua carriera: “è un argomento di grande interesse per me, essendo stato anche io una metà di una coppia, a volte beatamente a volte no. Con grande stupore, ho trovato centinaia di foto scene tra uomini e donne e altre centinaia sembravano parlare proprio di questo.” La collezione culmina infine nella monografia “Between the Sexes”.

Erwitt si è sempre autoproclamato un osservatore professionista, un fotografo di professione che si permette anche di scattare come un dilettante. A volte i suoi soggetti sono totalmente inconsapevoli mentre vengono catturati in dettagli che attirano maggiormente il fotografo, come un sopracciglio alzato o l’inclinazione della testa. I minimi movimenti segnalano già tantissime implicazioni. Elliott non si concentra solamente sui giovani amanti, ma è affascinato anche dagli anziani e da qualsiasi altra cosa stimoli un senso di amore, dai cani agli oggetti.

Per Erwitt non esiste un grande mistero dietro la fotografia. L’abilità viene dalla curiosità, dalla preparazione, dalla pratica e da un po’ di fortuna. “dopo aver seguito la folla per un po’, di solito ruoto di 180 gradi e vado nella direzione opposta. Ha sempre funzionato per me, ma come ho già detto sono molto fortunato”. Ed è la stessa curiosità che porta il fotografo a riscoprire, 25 anni dopo averlo fotografato, uno scatto tra i più romantici che diventerà poi un esempio del suo inconfondibile stile.

Viene da chiedersi se gli scatti di Elliott siano totalmente naturali o possiedano delle parziali messe in scena. Quanta fortuna ci vuole nel ritrovarsi nella limousine di Andy Warhol al momento giusto, cioè un attimo prima di uno sventato tentativo di assassinio dell’artista? Questo gioco tra incubo minaccioso e scena da sogno ha un che di surreale, è uno sguardo che mostra scene alle spalle di soggetti fissati un momento prima di accorgersi cosa stia accadendo. Nella realtà, quel momento dura solo un attimo ed è un passaggio di fatti e cose, nella fotografia viene invece fissato in eterno.

Non penso che si possa creare la fortuna. Si è fortunati oppure non lo si è. Non so se la mia sia realmente fortuna oppure sia solo curiosità. Penso che l’ingrediente principale (o uno degli ingredienti principali) della fotografia sia la curiosità. Se si è abbastanza curiosi e ci si alza al mattino e si esce a scattare fotografie, è più probabile avere più fortuna rispetto allo starsene semplicemente a casa”.

Nell’ultima fase della sua vita Erwitt passerà in rassegna i suoi scatti alla ricerca di qualche altra riscoperta. Per Elliott Erwitt la fotografia è stata sia carriera che hobby, accompagnandolo tutta la vita. “il mio interesse è nato quando avevo 15 anni, con l’acquisto di una macchina fotografica a soffietto che era una sorta di giocattolo e si è poi trasformato in una professione perché ho vissuto da solo da quando avevo 16 anni e mi sono guadagnato da vivere in questo modo, una macchina fotografica dopo l’altra”. “Le mie fotografie di 50 anni fa assomigliano abbastanza a quelle di oggi, eccetto per le automobili nello sfondo, ma le mie foto professionali sono cambiate enormemente assieme alle condizioni del mercato. È questo che significa per me essere un fotografo professionista: seguire le tendenze, i requisiti tecnologici, e guadagnarsi da vivere in quel modo. Ma il mio lavoro personale non è cambiato per niente. Non so se questo sia positivo, ma è un fatto.”